giovedì 28 febbraio 2008

Un pacco. Ma tirato con classe


E bravo Burial. Al quale si può dire tutto tranne che non abbia un formidabile tempismo. Il pischello londinese imbrocca l'album di debutto alla grande (titolo omonimo) nel 2006 riuscendo a infondere nuova linfa vitale a un genere - chiamiamolo "dub-trip-hop" - che da tempo non aveva più alcunché da dire, e questo grazie a un'atmosfera scurissima e a dei suoni effettivamente accattivanti, ipnotici, intelligenti, insomma ben fatti. Nessuno se ne rende conto tranne, pare, Wire, che lo elegge addirittura disco dell'anno. Bene, approfittiamone allora, e vai col secondo album pompato da cotal biglietto da visita. Solo che come si fa a evolvere da un suono che già miracolosamente l'aveva sfangata dalla banalità in prima battuta? E infatti. "Untrue" esce verso la fine del 2007 atteso da tutti come un evento e poi giudicato da tutti come un capolavoro. Ma il disco è pessimo. E' una copia slavata dell'altro (alcuni pezzi sono simili in modo direi imbarazzante...), nessuna nuova idea se non quella di cavalcare l'onda del successo e di raffinare ulteriormente i suoni in vista di un'apertura sempre più commerciale. Un disco inutile, che anzi alla lunga irrita, con quei passaggi sempre uguali, quelle voci in sottofondo strasentite, i campionamenti triti. Però io ci sono cascato e l'ho comprato a scatola chiusa. Anzi, a pacco chiuso.

sabato 23 febbraio 2008

lo scherzo infinito


Dopo oltre tre mesi ho terminato la lettura di Infinite Jest, le 1279 pagine con cui David Foster Wallace lascia una traccia indelebile nella letteratura mondiale. Infinite Jest (scherzo infinito) è un capolavoro sotto molti aspetti, ma prima di tutto è un'opera che andrebbe affrontata di petto, con foga, senza farsi spaventare dalla mole (tra l'altro il testo è anche in un corpo minuscolo) e dai tanti interludi apparentemente slegati dalla trama, come invece ho fatto io, che ho intramezzato la lettura ad altre cose e ho addirittura saltato dei passaggi, finendo per dover tornare indietro per ripescare dettagli che si sono poi rivelati fondamentali. La trama è semplice e allettante: nel futuro non troppo remoto di un'America agghiacciante la merce, la pubblicità e l'intrattenimento hanno occupato ogni interstizio della vita quotidiana (tanto che anche gli anni non procedono più in ordine cronologico ma con nomi di sponsorizzazioni, tipo "l'anno del Pannolone per Adulti Depend" o Apad), mentre le droghe di ogni genere sono diffuse ovunque, come una panacea alla noia e alla disperazione. E' a questo punto che irrompe sul mercato un film misterioso, "Infinite Jest" appunto, così appassionante e ipnotico da cancellare immediatamente ogni desiderio se non quello di guardare le immagini all'infinito, fino alla morte. Attorno al film si scatena una caccia grottesca dei serivizi segreti americani e di un gruppo di assurdi separatisti quebechiani, tutti su sedia a rotelle, e la caccia porta verso la Enfield Tennis Academy di Boston e la Ennet House, sempre di Boston, un ricovero per recupero di tossici all'ultimo stadio. Questo perchè poco per volta si scopre che quasi sicuramente l'autore del film letale è il fondatore dell'ETA, James Orin Incandenza, diventato in tarda età un regista di culto e poi suicidatosi in maniera incredibile (ma all'ETA ci sono ancora la moglie di lui, Avril, che ne è la direttrice, e due dei figli, Mario, un handicappato che ne era assitente personale, e Hal, giovane promessa del tennis continentale) e che alcune figure chiave dei suoi film sono ospiti del centro di recupero. In questo contesto Wallace inserisce una pletora di sub-personaggi spettacolari, le cui storie sono dei veri e propri romanzi nel romanzo, racconta per filo e per segno le trame di tutti i film di Incandenza Sr. (e se qualcuno si provasse davvero a girarne alcuni ci sarebbero delle sorprese...), spiega come parte del Canada e alcuni stati Usa siano diventati delle enormi discariche in cui gli Usa sparano tutti i loro rifiuti tramite catapulte, fa nascere l'Eschaton, un gioco di simulazione pazzesco che fanno i ragazzi dell'ETA, e così via, anche tramite le 388 note ed errata corrige che sono semplicemente geniali. Il tutto per arrivare a una fine spiazzante che mi ha lasciato a bocca aperta e, ora, con un senso orrendo di abbandono. DFW ha poi una proprietà di linguaggio totale e una conoscenza profondissima delle parole, che usa sempre in modo calibratissimo, ricorrendo anche a splendidi (e misteriosi) neologismi; tutto così suona sempre ironico, poco serio, proprio perchè raccontato con un eloquio forbitissimo e a tratti scientifico. Espressioni come "morire per soffocamento, mucoidale o no, non è proprio come andare alla Festa dei tulipani di Montreal" o, parlando di uso di droghe da parte di un cestista, "per diverse ore dopo il ragazzo soffriva di una perdita di propriocezione così vertiginosa da non riuscire letteralmente più a riconscersi il culo dal gomito, lasciamo perdere fare mosse autoritarie verso canestro" finiscono ogni volta per trasformare la situazione anche più pesante e tragica in uno scherzo infinito, e la lunghezza dell'opera contribuisce a creare proprio una sorta di dipendenza del lettore verso questo clima sarcastico che vorresti continuare a leggere all'infinito. Senza parlare delle innumerevoli digressioni che, è vero, il più delle volte non c'entrano assolutamente nulla nell'economia della trama, ma che vorresti non finissero mai. Un esempio su tutti: ad un certo punto, parlando di giovanissimi tennisti che sbroccano per il succeso, Wallace si inventa la storia di questo ragazzino californiano che dopo l'ultimo successo arriva a casa di notte e si suicida bevendosi un bicchiere di Nesquik corretto con del cianuro di sodio. Ma ecco che si sveglia il padre, lo trova schiumante e con la faccia blu e si getta a fargli la respirazione bocca a bocca, avvelenandosi a sua volta e morendo, e così la moglie, che trova il marito e gli pratica la respirazione, e così via tutti gli altri 6 fratelli "che hanno tutti fatto un corso di Pronto Soccorso di quattro ore sponsorizzato dal Rotary alla Ymca di Fresno".
Questo libro è imprescindibile, qualcuno lo legga, vi prego, ho bisogno di parlarne!!

mercoledì 13 febbraio 2008

bring the noise


Ho ripreso in mano un vecchio vinile oggi. I Public Enemy. Che nel 1988 arrivano alla perfezione con questo disco, It takes a nation of millions to hold us back, un classico della canzone di protesta americana e gemma fulgida nella storia dell’hip hop. E’ nel 1983 che Chuck D (aka Carlton Ridenhour; la D sta per Dangerous), storico rapper newyorchese, incontra Hank Shocklee e Bill Stephney, con i quali registra il brano Public Enemy No. 1, ispirato al titolo di un brano di James Brown. Il pezzo inizia a girare nelle radio del circuito dei college, e nel frattempo alla posse si unisce William Drayton (ovvero Flavor Flav). Il co-fondatore e produttore della Def Jam Records, Rick Rubin, ascolta il brano e ne resta completamente ammaliato. Chuck D viene allora preso sotto l'ala protettiva della label e forma un gruppo con il dj Terminator X, Professor Grimm (il “Ministro dell’informazione” del gruppo), il team di produzione Bomb Squad (tra cui Shocklee) e la Security of the First World (colorita squadra di guardie del corpo). Nel 1987 la formazione così composta pubblica Yo! Bum Rush the Show, album di debutto caratterizzato da strumentali semplici e scandite, e rime dense di figure retoriche e politica, cercando di realizzare il sogno dello stesso Chuck D, cioè un gruppo che vendesse, ma che fosse rispettato nell'underground, e che potesse dire la propria a livello politico. Il disco si rivela uno dei più intensi, underground e innovativi lavori hip hop del decennio, ma niente di eccezionale rispetto al suo monumentale seguito.
It takes a nation… è un album senza precedenti che riscrive le regole di ciò che il rap poteva fare, riconfigurando i suoi elementi in un suono emozionante, moderno, fresco. I Public Enemy fanno loro l’idea dei Run-D.M.C. che un gruppo rap potesse avere la stessa carica di una rock band, portando nelle loro tracce sonorità free jazz, hard funk e hardcore creando un flusso di parole e beat micidiale mai sentito prima. Con basi potentissime, perfette per il flow tumultuoso e ironico di Flav e Chuck, il disco si costruisce la nomea di rivoluzionario e lo stesso Chuck considera il proprio rap come “The Black CNN”, in quanto informa in tempo reale cosa succede nel ghetto. E immediato è anche l’interesse nei confronti del gruppo da parte del mondo rock, che trova in pezzi bellicosi come Bring the noise, Don’t believe the hype e She watch Channel Zero?! lo spirito che fu di MC5 e Dead Kennedys. La crescita nei testi di Chuck D è impressionante, con una forza realmente rivoluzionaria, una visione chiara della situazione sociopolitica ed un vocabolario senza limiti che si fondono in argomenti logici e galvanizzanti, inattaccabili. E il contrasto del corrosivo sarcasmo del folletto Flavor Flav non fa che rafforzare il tutto. Un disco tuttora insuperato.

giovedì 7 febbraio 2008

niente di nuovo sotto il sole (italiano)


Come spiega benissimo (tanto per cambiare) Curzio Maltese, la vera entrata a gamba tesa per porre fine alla partita di Prodi l'ha data (ma guarda un po') l'ignobile vaticano, le cui gerarchie erano da tempo scese in campo direttamente contro il centrosinistra e per favorire il ritorno del nano pelato, elargitore di mille favori alla chiesa durante il suo governo. La gamba tesa era partita da lontano. Dalla primavera 2006 non c'è stato un attimo in cui Ratz o vescovi vari non abbiano avuto da dire contro l'azione del governo, ma nell'ultima settimana prima della caduta si è consumato l'attacco più spettacolare, su più fronti. Comincia Benny x12, in qualità di vescovo de Roma, con l'aggressione al Veltroni sindaco sul "degrado di Roma". Ora, è chiaro che l'uno è anche papa e l'altro, toh, anche leader del PD. Quanto alla predica di Ratz sui mali de Roma, dagli affitti troppo alti allo scarso attivismo dell'amministrazione locale, bisognerebbe ricordare però che l'Apsa, che gestisce le proprietà ecclesiastiche, è il primo immobiliarista della capitale, con il 22% del patrimonio totale della città: non può fare nulla per calmierare gli affitti? La chiesa è il primo evasore (legalizzato) delle tasse romane, con la ributtante e assurda esenzione dall'Ici, così come è il primo beneficiario delle onerose convenzioni private su sanità e scuola. L'elenco degli ignobili favori che Roma paga alla chiesa è infinito.
Ed ecco l'altro colpo di genio, il ben studiato pretesto della mancata visita alla Sapienza, dove si è capito chiaramente che all'insopportabile Chiesa non interessava affatto la questione in sè ma lo sfruttamento del caso. La ridicola polemica sulla sicurezza non garantita era strumentale. I predecessori di Benny x12 sono andati in visita in paesi del terzo mondo e hanno incontrato folle di milioni di persone, e questo cazzo di papa ha paura di entrare all'università di Roma? Bisognava trovare il modo di organizzare una manifestazione contro il governo a San Pietro, senza dire che si trattava di politica. Così è andata, e nella folla di San Pietro c'era in prima fila Mastella porco, il quale proprio in quell'occasione, per sua ammissione, decide l'uscita dalla maggioranza e la comunica subito non a Prodi ma al cardinal Bertone. Nello sfascio della politica, la chiesa ha deciso di scendere in campo, alla riconquista di un ruolo centrale perso dal tramonto della Dc. I cosiddetti leader del cosiddetto centrosx dovrebbero almeno prenderne atto e studiare qualche contromossa che non sia il solito genuflettersi nella vana speranza di ammansire i vescovi. Ho mal di stomaco. Fine.