martedì 11 dicembre 2007

Lui


Questi sono avanti anni luce. Quello che fanno i Fanny & Alexander mi sorprende sempre, il loro teatro è ciò che vado inseguendo da quando a 12 anni rimasi incantato dalla magia del primo festival di Santarcangelo, un’alchimia ineffabile di fantasia, parole, immagini, personaggi, storie, luce, oscurità. Prendiamo allora le loro ultime due opere, K.313 e HIM, provenienti dal lavoro che la compagnia sta conducendo da qualche tempo su Tommaso Landolfi ma le cui radici affondano ormai inestricabilmente nella complessa poetica fannynderiana, fatta di un’attenzione ed un rispetto maniacali per la potenziale semiologia di una drammaturgia intesa in senso lato, di un utilizzo fortemente icastico delle immagini e dei personaggi, di continue esplosioni metatestuali e di un’estetica veicolante significati sfuggenti. In K.313 Chiara Lagani e Marco Cavalcoli sono i protagonisti di un difficile testo di Landolfi, “Breve canzoniere”, in cui due amanti dialogano – in un sottile gioco al massacro – sulle di lui chiamiamole opere letterarie (sonetti, lettere), dunque un prosimetro che alterna una serie di sonetti ai loro commenti. Ben presto risulta chiaro che quello vissuto dalla coppia in scena non è un amore “attraverso” le parole ma è un amore “per” le parole che vengono messe in gioco, lasciando intendere – come quasi sempre accade in Landolfi – che tutta la questione finirà per dover rispondere ad altre, più affilate domande. Ecco quindi che oltre ad interpretare il testo – peraltro magnificamente – la drammaturgia dei Fanny (e questo è invece il loro marchio di fabbrica) vuole ricrearne il meccanismo intrinseco, affidandosi in questo caso a un efficace apparato didascalico volto a trasporre il significato dell’azione scenica altrove, a confonderne le coordinate di partenza. Le maschere da terroristi e la telecamera a infrarossi che riprende la scena e la riproietta alle spalle degli attori danno infatti al già piuttosto angosciante insieme un’altra prospettiva, un ulteriore grado di straniamento. E lo sconcerto – magari anche subdolamente inconscio – è dovuto alle icone ultra-attuali che l’associazione maschere/video mette in essere. Tanto che dopo un po’ si finisce per guardare molto di più lo schermo che gli attori in carne ed ossa, proprio perché è quello il contesto di riferimento a cui siamo abituati. Il finale calato in una fragile penombra riporta poi tutto a una dimensione onirica tesa a rendere ancora più labili i confini di ciò che abbiamo visto. Completamente diverso – ma comunque legato a K.313 da una liaison, chiamiamola così, di “incoerenza contestuale” – è HIM, in cui Marco Cavalcoli (un fenomeno, non saprei come altro definirlo), agghindato appunto come l’opera “Him” di Cattelan, ossia una statua a grandezza naturale di Hitler in ginocchio, doppia in tempo reale e in lingua originale tutto il film “Il mago di Oz”, proiettato alle sue spalle, dando a se stesso e al film anche il tempo, con movenze da direttore d’orchestra (questo personaggio lo ritroveremo in un altro spettacolo di Fanny & Alexander, “Dorothy. Sconcerto per Oz”). L’effetto è ovviamente esilarante (Marco replica ogni cosa, tutti i personaggi, i rumori, le canzoni) e il tutto sconfina immediatamente nel surreale, in virtù di un contrasto assurdo tra l’aspetto del protagonista e quello che sta facendo, peraltro in maniera serissima.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

beh, che dire.. eri già al lavoro vedo.. e che lavoro.. ti comunico ufficialmente che sono le prime recensioni assolute di k313 e di him, purtroppo non si vince niente ma almeno un grande grazie si, baci, mm
ps: visto che il lavoro è fatto.. perchè non metterlo su carta..? anche se non se lo meritano.

Anonimo ha detto...

Mi associo alle osservazioni di mm, e ovviamente ai ringraziamenti. Eh sì, più che non meritarselo, dubito che ne sarebbero semplicemente degni...